” Il cammino della fede” – Uscite didattiche alunni Istituto agrario di Sapri – Santuario San Biagio – Maratea

“Il cammino della fede” prevede quattro itinerari da percorrere con gli alunni dell’istituto agrario di Sapri. Sono tre le discipline scolastiche: scienze motorie, scienze religiose e scienze ambientali che vedono impegnati i relativi docenti nell’illustrare i percorsi e accompagnare gli alunni verso la conoscenza del territorio, del camminare quale stile di vita sano e mettersi in contatto con la propria sensibilità e religiosità.

Il primo itinerario è il santuario di San Biagio a Maratea…

E’ una bellissima giornata di sole. Lungo il percorso lo scenario che si prospetta ai nostri occhi è a dir poco meraviglioso…lascio “parlare” le immagini.

Ed ecco che sulla sommità del monte San Biagio si intravede il Cristo.

I ragazzi sono tutti entusiasti. Per alcuni di loro è la prima volta che vedono il Cristo di Maratea.

Giunti all’inizio del percorso trekking, una prima colazione per avere le giuste energie per affrontare la salita.

Quasi in religioso silenzio…ascoltando la storia di San Biagio.

Non potevamo non notare i resti degli incendi della scorsa estate. Il sottobosco in alcuni punti stenta a rigenerarsi. E’ stata l’occasione per una riflessione di educazione ambientale.

Alla prima sosta, una foto di gruppo.

Lungo il percorso, tanti i fiori, tante le specie…tante le domande da parte degli alunni. Una lezione di botanica in pieno campo.

Colori e odori tipici della macchia mediterranea e del sottobosco.

Un panomara da mozzafiato…

…è come perdersi nell’immensità del mare.

I ragazzi per nulla stanchi tutto hanno osservato…qualcuno ha raccolto finanche i primi asparagi.

 

Ci hanno raggiunto alcuni alunni di Maratea con i loro cavalli.

Come un pellegrinaggio… in alcuni momenti il silenzio ha regnato  lungo la salita. La voglia di arrivare in cima…

 

Ed ecco il Santuario di San Biagio…

 

È il cuore religioso della comunità cristiana locale e custode delle reliquie del Patrono San Biagio.

Si trova fabbricato nel punto più alto della città vecchia di Maratea, detta Castello, e ne è la chiesa parrocchiale. Tradizione vuole sia sorta sul sito di un tempio pagano dedicato a Minerva. Nel millenoventoquaranta è stata elevata alla dignità di basilica minore.

Ed ecco il Cristo… è una colossale scultura posta sulla cima del monte San Biagio, sovrastante Maratea. Fu realizzata con un particolare impasto di cemento misto a scaglie di marmo di Carrara dall’artista fiorentino Bruno Innocenti tra il millenovecentosessantatre e il millenovecentosessantacinque. È alta ventuno metri e tredici centimetri. Secondo una testimonianza lasciata scritta da Bruno Innocenti la statua «vuole significare la rinascita, la speranza nuova indicataci dal Cristo Risorto. Il punto d’incontro delle nostre aspirazioni migliori e lui, divinamente ritornante, spaziante nei cieli e in cammino, sempre, verso di noi. Il Redentore, con il largo gesto al cielo e con lo sguardo fisso ai fedeli, presenti nell’ignoto momento della loro esistenza, è legato al Padre Celeste nella benedizione che sta per essere impartita, mentre ancora una volta poggia il piede su questa terra che fu spettatrice della sua crocifissione. Ma in virtù della sua infinita capacità di perdono, niente traspare della tragedia vissuta. Ora è serenità, speranza, perdono luminoso e confortante a venirci incontro: un Gesù giovane, senza tempo, mondo da ogni effimera apparenza terrena. Divinamente nuovo come il simbolo incarnato della seconda parte della Santissima Trinità, l’Umano e il Divino non più contaminati dall’uomo.» Fermo su questo concetto, lo scultore sentì il bisogno «che l’opera nascente in un clima di sintesi, semplice ed espressiva, e che non vi fossero compiacenze a dettagli formali intesi a richiamare alla mente immagini di culto convenzionali.» Innocenti scrisse di volere che il simbolismo dell’opera fosse «il più possibile contenuto ed essenziale, perché, nelle dimensioni della statua, ritengo sarebbero stati controproducenti atteggiamenti e dettagli che avessero richiamato una realtà spicciola, contingente, minutamente reale. La statua sorgerà candida sulla cima del Monte S. Biagio, imponente, ma discreta; non un urlo dal mare verso le valli, ma un pacato richiamo ad accogliere e a raccogliere, a rinfrancare la speranza»

Non poteva mancare una nutriente colazione con i prodotti tipici…ci ha pensato la mamma di un nostro alunno a rifocillare tutta la comitiva.

 

Qualcuno ha immortalato pure me…mentre vi scrivevo….

E’ stata una giornata memorabile. Ripercorrendo le vie del sacro ho ritrovato angoli unici di spiritualità, mi sono raccolto in preghiera nel silenzio e ho partecipato a uno dei più importanti momenti della vita, la fase educativa dei nostri giovani. Vi do appuntamento alla prossima e vi abbraccio con la stima di sempre.

Angelo Risi

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ELEZIONI POLITICHE 2018 – C’E’ UN’ITALIA DA RIFARE.

E’ una Italia divisa in due, e forse tre, la fotografia che si è profilata all’indomani delle elezioni politiche del quattro marzo.

Una immagine che neppure il più navigato dei politici si sarebbe mai sognata, eppure i sentori dei malcontenti e della sfiducia nei partiti si avvertivano da lunghissimo tempo. E’ stato un grido di liberazione del popolo del sud, che ha riposto fiducia nel “movimento cinque stelle”, così come il popolo del settentrione nella “Lega”- nata dall’unione di movimenti popolari.

I motivi che hanno spinto gli elettori a dare fiducia a tali schieramenti anti-sistema anzinchè ai partiti tradizionali sono facilmente comprensibili, in quando già da tempo il popolo italiano da nord a sud, isole comprese, manifestava dissenso verso la partitocrazia per i motivi che tutti noi conosciamo: interessi privati, corruzione e quant’altro. Considerando che mai l’Italia è stata unita da un progetto politico comune, tant’è che ancora oggi è grande il divario tra settentrione e meridione, tra periferie e città, tra ricchi e poveri; facile è stato rivendicare l’orgoglio del proprio voto e il senso di appartenenza al territorio. Ognuno si è sentito libero e convinto di esprimere un forte dissenso verso i “professionisti” della politica che per raggiungerei i loro fini giustificano i mezzi. Troppo ci sarebbe da scrivere a livello nazionale, mi limito a  quanto è successo vicino a me, quale esempio di mal costume ed eclatante sconfitta politica. Una singolare petizione di quattrocentosettanta amministratori cilentani per sponsorizzare la candidatura in Parlamento di Franco Alfieri, firmata anche da quei personaggi che affollavano la sala conferenze dell’hotel Ramada nel novembre duemilasedici, allorquando il governatore De Luca dettò le norme di comportamento a favore del sì al referendum costituzionale, invitando tutti a emulare lo stile clientelare-politico del buon Alfieri. Nacque il “patto delle fritture di pesce”.  Un patto che non bastò a Renzi per far approvare la sua riforma e nemmeno è bastato ad Alfieri per entrare in Parlamento. Il popolo non solo non dimentica ma non vuole essere comprato ne tantomeno venduto per una “frittura di pesce”.

Se è vero che la frase, estrapolata da un discorso, fu strumentalizzata; è anche vero che un Governatore di Regione non avrebbe dovuto teatralizzare una questione delicata come una consultazione referendaria elargendo “doni” e “titoli” che ledono la dignità dell’uomo e dell’elettore. Non mi dilungo sui comportamenti e le esternazioni del Governatore in merito all’inchiesta di Fanpage. Troppo ci sarebbe da dire. Vero è che anche quelli hanno contribuito alla batosta elettorale del PD e alla sconfitta a Salerno del figlio Piero, battuto dal candidato del Movimento cinque stelle: Nicola Provenza. Piero De Luca e Paolo Siani, candidati del Partito democratico in Campania entrambi sconfitti nei rispettivi collegi uninominali di Salerno e Napoli-San Carlo all’Arena, entreranno per la prima volta alla Camera dei Deputati grazie al listino bloccato, intanto Caserta resterà senza deputati. Tanti i ripescati su tutto il territorio nazionale, ex ministri, nomi noti e consumati che avendo perso nei collegi uninominali entrano dalla “porta” del proporzionale. Una storia tutta italiana. Pazienza.

Ma ritorniamo a noi, in Cilento, nella circoscrizione Campania due, Franco Alfieri (35mila voti) è stato superato dalla candidata del Movimento cinque stelle Alessia D’Alessandro (42mila voti) che su Facebook tramite un video messaggio ha ringraziato tutti e ha dichiarato: «Per me l’esito registrato  è un esito di pieno successo, perché siamo finalmente riusciti a liberarci dall’uomo che per tanti anni ha deturpato questi territori, di un uomo che è conosciuto per la politica clientelare e che non ha seguito gli interessi della collettività ma solo quello di certi ceti interessati». 

https://www.facebook.com/AlessiaDAlessandro.MoVimento5Stelle/

 

Leccarsi le ferite oggi non serve a niente. Servono piuttosto riflessioni da parte di chi amministra le comunità ed è convinto di “gestire” a suo piacimento sia la cosa pubblica che le volontà politiche dei cittadini. C’è da dire anche che a nulla è servita una nuova legge elettorale se non ad ingarbugliare la situazione politica già tanto compromessa e a salvare qualche protetto o figlio di papà. Ha generato dissenso finanche il fatto che i candidati “calati” dall’alto non sempre sono l’espressione di un territorio. Una politica, quella dei partiti, e comportamenti, quelli dei soggetti interessati, che negli anni hanno assunto sempre di più le connotazioni e le caratteristiche di una vera casta.

Come poteva il sud e il popolo non ribellarsi a tale sistema partitocratico?

Ha fin troppo resistito …sopportando ogni tipo di “delitto” verso la democrazia e di “sopruso” verso la civiltà ed ha reagito con l’unico modo che gli era possibile: recandosi alle urne e votando il movimento cinque stelle. Una forza giovane e nuova.

Il sud ha votato senza pensare agli scenari politici che si profileranno ma con la consapevolezza di lasciarsi dietro i vecchi partiti composti da vassalli, valvassori e valvassini.

Dopo centocinquant’anni e più riecheggiano ancora le parole di Massimo D’Azeglio:«Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli italiani».

Tanto sangue e tante vite sono state sacrificate per avere un’Italia e un popolo italiano unito, eppure fatta l’Italia forse bisogna ancora fare gli italiani.

Sono convinto che dove non si è riusciti il quattro marzo si provvederà in futuro. Viva il sud. Viva l’Italia di domani.

Vi abbraccio con la stima di sempre!

Angelo Risi

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Campionati italiani di pasticceria e gelateria – La saprese Rosetta Bovienzo a sostegno dei partecipanti

 

Dal venticinque febbraio a tutt’oggi ottanta pasticceri sono scesi in campo a Massa Carrara, presso la fiera Ticino Ct, per sfidarsi nel più dolce dei tornei: “Campionati italiani di pasticceria, gelateria e cioccolateria e i Campionati italiani di cake design” –  organizzati e diretti dalla Federazione internazionale pasticceria, gelateria e cioccolateria :

http://www.federazionepasticceri.it/

 La pagina facebook: https://www.facebook.com/fipfederazionepasticceria/

 

Due campionati per quattro giorni di alta pasticceria, tra creazioni originali, accostamenti inediti, tecniche all’avanguardia e tutto il talento dei migliori interpreti dell’arte pasticcera, che si sono contesi l’ambita Coppa. I vincitori avranno la possibilità di entrare a far parte della Nazionale italiana di pasticceria che parteciperà ai Mondiali nel 2019.

“I Campionati italiani rappresentano l’occasione perfetta per mettere alla prova il talento e la creatività dei migliori pasticceri e cake designer del nostro paese”, parole queste del presidente della Fipgc, Roberto Lestani.

A giudicare il talento, la creatività e ogni aspetto delle opere presentate, è stata una giuria molto attenta ed esigente, composta dai campioni che hanno vinto le precedenti edizioni dei Campionati Fipg e dai professionisti dell’Equipe Eccellenza italiana e internazionale Fipgc.

I partecipanti hanno realizzato delle vere e proprie opere d’arte, e sono stati valutati anche nel più piccolo dettaglio: dalle tecniche utilizzate agli ingredienti, dalla pulizia del piano di lavoro al tempo impiegato.

I maestri pasticcieri italiani hanno messo in mostra tutto il proprio talento e tutta la propria abilità realizzando un dolce secondo la specialità scelta tra tre opzioni differenti al momento dell’iscrizione: scultura in cioccolato e praline; scultura in zucchero e dessert al piatto; scultura in pastigliaggio e torta moderna.

Tre diverse categorie per le tre diverse specialità che saranno poi protagoniste dei Mondiali 2019.

Ogni giorno è stato eletto un vincitore per ognuna di queste categorie, e i tre vincitori assoluti formeranno la nazionale italiana.

Chiamarle torte è riduttivo: sono veri e propri capolavori quelli realizzati dai cake designer. Ve ne presento alcuni…

 

 

Vincere la Coppa Italia è solo il punto di partenza, perché proprio da qui inizierà la vera sfida: la preparazione per i Mondiali. Ci vorranno infatti mesi e mesi di allenamenti serrati, studio di nuove tecniche, prove e perfezionamento continuo, e soprattutto impegno per creare lo spirito di squadra per affrontare al meglio i Campionati Mondiali del 2019 che si terranno presso Host Fiera Milano.

A sostenere i maestri c’è anche la saprese Rosetta Bovienzo, ristoratrice e appassionata di dolci. La Bovienzo è nella Federazione Internazionale ed è per questo a sostegno degli ottanta partecipanti scesi in campo a sfidarsi.

Sto vivendo una bellissima esperienza perché e’ un mondo che mi affascina e si sta insieme a persone per condividere la stessa passione. Ma soprattutto SOSTENERE i partecipanti e’ bellissimo in quanto loro sono emozionati e molto tesi ed e’ importante trasmettere la grinta per affrontare al meglio questo concorso

Queste  le parole della Bovienzo, che ai i grandi maestri pasticcieri li lega la passione per la preparazione di dolci. Al punto tale che ha aperto una pagina Facebook: https://www.facebook.com/IDolciDiRosetta/

Oggi, a conclusione campionato, decretata la Nazionale Italiana per i prossimi Campionati Mondiali FIPGC che si terranno presso Host Fiera Milano 2019:Barbara Borghi, Gianluca Cecere, Umberto Soprano .

E’ grazie a Rosetta e alla sua passione che sono venuto a conoscenza di questo evento. Che ho vissuto indirettamente tramite lei, con immagini e contatti continui. Mi è sembrato di essere presente…guardando le foto e i video mi è parso di sentire financhè gli odori dell’alta pasticceria italiana.

Rosetta, donna di grandi interessi e passioni non si è fatta mancare niente. Si è finanche abbandonata a dolci carezze con il suo amato Gianluca.

Saluto Rosetta e Gianluca in questo modo:”Devi amare quello che fai…ogni dolce ha la sua storia“.

Vi abbraccio con la stima di sempre.

Angelo RISI

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A volte ritornano…IL deputato uscente Simone Valiante eletto Presidente del Consac Infrastrutture.

E’ straordinaria questa terra per quanto sia accogliente e disponibile verso chi ritorna ad essa…è proprio il caso di quel vecchio detto:”torna sta casa aspetta a te”.

Mi piacerebbe che così fosse per tutti i figli del Cilento…che dapprima partono alla ricerca di un lavoro…e che quando, qualche volta ritornano, perchè il lavoro altrove è finito o non lo hanno mai trovato…mi piacerebbe che al ritorno venissero reimpiegati. Certo non dico che debbano “trovare” una poltrona vuota che li aspetta, ma un lavoro che gli dia dignità.

Miei cari lettori se ho deciso di scrivervi è per raccontarvi una storia delle ultime ore: L’elezione all’unanimità di Simone Valiante a presidente del Consac Infrastrutture ( che si occupa dei lavori sul territorio in cui opera la Consac Spa, ovvero la società che gestisce la rete idrica in gran parte dei Comuni del Cilento e Vallo di Diano).

La straordinarietà non sta tanto nella nuova presidenza ma nell’acclamazione all’unanimità…quasi un atto di solidarietà dovuto.

(photo web)

E già …Simone ha tutti i requisiti per assumere tale incarico. E’ un professionista della politica così come vuole la mentalità comune.

Nasce politicamente nel 2009 come vice sindaco di Cuccaro Vetere, all’elezioni politiche del 2013 viene eletto deputato della XVII legislatura nella circoscrizione XX Campania 2 per il partito democratico (incarico che si appresta ad ultimare con la imminente conclusione della legislatura). E’ il figlio maggiore di Antonio Valiante, ex consigliere comunale ed ex sindaco di Cuccaro Vetere, più volte consigliere e assessore della regione Campania, nonchè deputato nella XII legislatura (dal 15 Aprile 1994 all’otto Maggio 1996).

Una storia quella dei Valiante ….con referenze politiche e curriculum vitae che gli consentono di occupare, in ogni momento, qualsivoglia poltrona nell’ambito regionale.

Sarebbe stato quasi sconveniente per l’immagine del nostro territorio non accogliere ed impiegare prontamente un deputato della Repubblica Italiana uscente, sebbene fosse sua intenzione ricandidarsi ma che il partito non ha ritenuto opportuno riproporre.

A onor del vero l’onorevole Simone Valiante durante la legislatura ha sempre presenziato manifestazioni nel Cilento e quindi è a conoscenza della situazione territoriale. Buon senso vorrebbe che trascorso il tempo necessario a dargli la serenità dovuta per ricoprire l’incarico affidatogli all’unanimità dai sindaci del consorzio e lasciati col pensiero gli agi della camera dei deputati….sarebbe opportuno, ripeto, che guardasse con occhi diversi il territorio che si appresta a vivere.

Sicuramente è un luogo il nostro meno monotono dei lunghi corridoi e delle grandi sale del parlamento italiano. Al neo presidente vorrei dire che in tanti lamenteranno la impercorribilità delle strade. Non li ascolti. Lei osservi come ha sempre fatto con gli occhi del politico navigato. La viabilità cilentana ci è invidiata da tutti quelli che l’hanno percorsa. Le diranno che c’è spazzatura ovunque, non è vero, non è così, non gli dia retta, è gente che parla a vanvera. Il Cilento è pulitissimo ( basta che cresca rigogliosa la vegetazione e ricopra tutti i resti della nostra civiltà). Già! Parlare di ambiente con lei è superfluo, è un argomento che conosce bene, visto che il suo partito, il 5 giugno del 2013, lo scelse come: Responsabile nazionale dell’Ambiente del Partito Democratico nella nuova segreteria nazionale del segretario “reggente” Guglielmo Epifani. Vicino all’ex Ministro Giuseppe Fioroni.

La disoccupazione? Ma no! Qui lavorano tutti. I giovani se vanno via è per farsi delle esperienze…a noi avanzano pure le poltrone… tant’è che lei non resterà disoccupato nemmeno un giorno. Ancora in “camera” ed ecco pronta la poltrona.

Il Cilento è una terra straordinaria….Lei da oggi è il presidente del Concac infrastrutture. Le diranno che la rete fa acqua da tutte le parti, non gli creda, la gente parla a vanvera. Lei è un politico di lunga esperienza, sa bene che l’acqua nei fossi lungo le strade tanto rinomate non è una perdita consortile, ma pioggia. Una pioggia di finanziamenti in prossimità delle elezioni è caduta sul Cilento, voluta da quel partito che non l’ha candidata. Notizie di questi giorni riportano finanziamenti per il metanodotto, per adeguamento infrastrutture scolastiche e quant’altro, segno tangibile di una volontà politica a voler creare occupazione in questo nostro territorio già di per sé straordinario. Sicuramente incontrerà qualcuno che vorrà parlare dei problemi della sanità…lasci perdere…cercheranno semplicemente di distrarla. Qua funziona tutto e  stiamo tutti bene, è nota al mondo la nostra longevità.

Noi avevamo bisogno di un politico di lunga esperienza… professionale e lungimirante come vuole la mentalità comune. Lasciata, pertanto, la Camera dei deputati.. dove per un quinquennio, ha svolto il suo lavoro ( che non sto qui ad elencare per paura di omettere qualcosa), sono sicuro che metterà al servizio del territorio tutta l’arte politica che occorre, a rilanciare l’occupazione dei nostri giovani che intanto avranno soddisfatto i propri bisogni fuori e ritorneranno, non per una poltrona, ma per un lavoro dignitoso. Sarà l’occasione per cominciare a ripopolare i nostri borghi, perchè i giovani rientrati, avendo un lavoro, magari si sposeranno e avranno dei figli….quei figli che andranno nelle scuole …che intanto saranno state adeguate. Perchè se così non sarà, allora mi chiedo: a che servono le infrastrutture? A che servono le poltrone? A che serve essere professionisti della politica se non si è in grado di dare vita e futuro a questa nostra terra?

Onorevole Valiante non mi dilungo, la invito a rivedere il video della sua missiva al Governatore De Luca. La invito a non pensare più alla “camera” ma a riflettere come giusto che sia per il futuro del Cilento.

https://www.facebook.com/gwtelevision/videos/1246154835516874/?hc_ref=ARToVZf2FCpbuwJdlf6eadd_FbRjxMsml6ej4XPZfTihNfhz8x536WIVbjMbg4qrtCo&pnref=story

(video – La TV di Gwendalina)

 

 

Vi abbraccio tutti, con la stima di sempre!

Angelo Risi

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68° Festival di Sanremo – Fiori e musica anche dal Cilento

Ieri quattro febbraio si è alzato il sipario sui galà e gli eventi mondani che aprono il 68° Festival di Sanremo. La giornata in cui i protagonisti della kermesse canora si sono presentati agli addetti ai lavori, tra Palafiori, casinò e hotel Londra. Con il Festival della canzone italiana, apre le sue porte Casa Sanremo Vitality’s, l’hospitality realizzata da Gruppo Eventi e nata da un’idea di Vincenzo Russolillo e Mauro Marino. L’evento presso il Palafiori giunto ormai alla sua undicesima edizione, porta con sé un programma denso. Madrina d’eccezione, la conduttrice televisiva Elisa Isoardi, grazie alla collaborazione del maestro orafo Michele Affidato.

https://www.facebook.com/CasaSanremoOfficial/videos/1573626842723013/


Tra le novità di quest’anno c’è la Luxury Room situata al 2° livello del Palafiori, è il luogo più esclusivo riservato di Casa Sanremo. Una location completamente dedicata ad un privilegiato parterre di ospiti, grazie anche alla presenza degli studi radiofonici di Radio Monte Carlo.


L’addobbo floreale di casa Sanremo è stato affidato alla ditta “Piante e fiori veltri” di Roccagloriosa (Salerno ).

Quando Daniele e Antonella della ditta “Piante e fiori Veltri” mi hanno contattato ho subito accolto l’invito a seguirli nell’avventura sanremese…

(intervista a Daniele Veltri)

 

Queste alcune immagini degli addobbi floreali del primo giorno…

 

…I colori delle composizioni :…
il caldo sole del sud nell’arancione delle sterlizie; il bianco degli arenili negli anthurium; il grano simbolo di una terra tanto amata; il verde di sconfinate vallate e monti che regnano sovrani; e il lilla simbolo di amore per se stessi e per il lavoro, che svolgono con passione.

 

 

Non solo i fiori … non solo Daniele e Antonella sono per noi cilentani motivo di orgoglio ma anche la partecipazione a casa Sanremo degli alunni della “ Pisacane Wind Orchestra” del Liceo Musicale di Sapri.,,


(Intervista al prof.Antonio Marotta)

 

Ed ecco due video all’apertura dell’evento…

 

A casa Sanremo sono impegnati  in un progetto di alternanza scuola/lavoro altri alunni degli istituti ad indirizzo alberghiero del territorio, sicuramente una occasione di crescita personale e professionale.

Con queste composizioni floreali di oggi…accuramente preparate da Antonella della “Piante e fiori Veltri“…mi avvio alla conclusione di questo articolo…consapevole delle potenzialità del nostro territorio e dei nostri giovani. I fiori e la musica del nostro Cilento sono poesia per Sanremo e speranza per il futuro. Vi abbraccio con la stima di sempre.

Angelo RISI

 

 

Conferenza stampa presentazione 68° Festival di Sanremo…

https://www.facebook.com/Repubblica.Spettacoli/videos/1932906116733225/?hc_ref=ARR5-Uyl9MHqghzM1WBJ9lEf30xbaH30-tiWfiyVlpPRjUwQs1z8P2YDmw0XEUlZJ_s

 

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Sapri – Giornata contro la violenza sulle donne

Il Centro antiviolenza “Iris” del piano di zona S9-Sportello “Pierangela”, al fine di sensibilizzare i giovani del territorio sul delicatissimo tema della violenza sulle donne è stato promotore di un concorso fotografico: “Di amore non si muore”, rivolto agli alunni dei vari ordini scolastici. L’ente patrocinante è stato il Comune di Sapri.

Oggi, venticinque novembre, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, presso l’Auditorium “Cesarini” si è tenuta la premiazione dei vincintori .

Madrina della manifestazione Livia Azzariti che ha presentato i lavori vincitori, scelti da una qualificata giuria presieduta da Nello Pepe. Gli operatori della rete sociale presente sul territorio hanno portato i loro saluti e le proprie esperienze di campo.

Per le scuole primarie,si sono aggiudicati il primo e terzo posto gli alunni dell’Istituto comprensivo Santa Croce; il secondo posto quelli di Santa Marina-Policastro. Per le Scuole secondarie di Primo grado nell’ordine i vincitori: L’Istituto Dante Alighieri, l’Istituto Santa Croce e al terzo Santa Marina-Policastro. Per quanto riguarda le scuole secondarie di secondo grado, al primo e secondo posto si sono qualificati i lavori  degli alunni dell’IPSEOA, al terzo posto quelli del Liceo Classico.

 I meriti di questa manifestazione vanno riconosciuti a chi l’ha organizzata e precisamente: al Centro antiviolenza Iris del Piano di Zona S9, al Comune di Sapri Ente patrocinante,alla coordinatrice del Piano di zona  Gianfranca Di Luca, ai dirigenti scolastici, ai docenti, alla giuria presieduta da Nello Pepe, alla conduttrice Livia Azzariti e a quanti a vario titolo hanno collaborato…ma soprattutto ai ragazzi che con i loro lavori hanno sensibilizzato e evidenziato un tema così importante e delicato.

Ho sentito il bisogno di essere presente per la validità del messaggio sociale….e così ho intervistato la Giornalista-conduttrice Livia Azzariti…

 e il Capitano Zitiello della Compagnia Carabinieri di Sapri.

In conclusione vi riporto un mio messaggio che di getto stamane ho scritto sui social:

Non basta solo una giornata a ricordare la violenza sulle donne. ..non basta condannare come giusto che sia l’estremo gesto di togliere la vita. Occorre ricordare che tutti noi uomini, me compreso, proprio perché tali..ancora radicati in una mentalità maschilista. ..volontariamente o involontariamente perpetriamo una serie di violenze psicologiche sulla donna. Non sto ad elencarle. ..tutti noi le conosciamo. Dobbiamo ancora crescere per considerare la donna un nostro pari…che merita rispetto e libertà …cose che noi pretendiamo da tutti. Chissà se un giorno ci sentiremo veramente tutti uguali. ..non solo nelle parole ma nei fatti.
Non basta una giornata. ..Occorre crescere.
I veri uomini non ammazzano…sono per la vita”.

Ringrazio per le foto e le riprese l’amico Vito SANSONE.

Vi abbraccio con la stima di sempre

Angelo RISI

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Lecco…”Sulle orme di Manzoni”

La città di Lecco sita sul ramo orientale del lago di Como, e sulla sponda sinistra del fiume Adda, tra i monti della Grigna e della cresta del Resegone, è celebre per essere il luogo in cui lo scrittore Alessandro Manzoni visse l’età adolescenziale nella villa di famiglia e dove ambientò il romanzo i ”Promessi sposi”.

Difatti l’inizio dei Promessi Sposi è una splendida fotografia di Lecco e del territorio circostante, raccontata con armoniosa leggiadria dall’autore che l’ha resa famosa in tutto il mondo.
Sembra quasi che lo scrittore l’abbia vista dal lago e poi dall’alto, perché delinea con precisione la conformazione naturale di Lecco. Un lago tutto a seni e golfi, incorniciato dalle catene montuose che proteggono la città: il San Martino e il Resegone, dall’inconfondibile profilo a sega, e i tre torrenti che tagliano Lecco dall’alto quasi in parti uguali.
Un lago che si restringe e prende il corso del fiume Adda, le cui rive proprio a Lecco sono congiunte dal ponte Azzone Visconti. Tutto intorno pendii, poggi, campi e vigne con casali e ville e boschi che abbracciano la montagna.

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera,formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendii lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate,secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna.”

I promessi sposi ( fatti che si svolgono sullo sfondo della campagna lombarda e della città di Milano, tra il 1628 e il 1630 durante il dominio spagnolo, che vedono protagonisti Renzo e Lucia, due giovani filatori, che hanno un sogno…quello di convolare a nozze )

è un celebre romanzo storico di Alessandro Manzoni, ritenuto il più famoso e il più letto tra quelli scritti in lingua italiana. Preceduto dal “Fermo e Lucia”, spesso considerato romanzo a sé, fu pubblicato in una prima versione nel milleottocentoventisette (detta “ventisettana”); rivisto in seguito dallo stesso autore, soprattutto nel linguaggio, fu ripubblicato nella versione definitiva fra il milleottocentoquaranta e il milleottocentoquarantadue (detta “quarantana”). Il romanzo si basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del diciassettesimo secolo, come ad esempio le vicende della monaca di Monza (Marianna de Leyva y Marino) e la grande peste del milleseicentoventinove – milleseicentotrentuno, si fondano su documenti d’archivio e cronache dell’epoca. Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana – in quanto è il primo romanzo moderno di questa tradizione letteraria – ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana.

 I promessi sposi, inoltre, sono considerati l’opera più rappresentativa del romanticismo italiano  e una delle massime della letteratura italiana per la profondità dei temi (si pensi alla filosofia della storia  in cui, cristianamente, opera l’insondabile Grazia divina nella Provvidenza) e per la rivoluzione dell’economia della vicenda in cui, per la prima volta, i protagonisti sono gli umili e non più i grandi della storia.

 

L’identità culturale lecchese è testimoniata da un interessante itinerario storico-letterario sulle tracce dei luoghi che furono di ispirazione al grande romanziere milanese.

Manzoni nacque il 7 marzo 1785 a Milano. Frutto di una relazione adulterina di Giulia Beccaria, figlia del letterato illuminista Cesare Beccaria, venne riconosciuto dal conte Pietro Manzoni per evitare lo scandalo. In seguito alla separazione dei due coniugi, Alessandro fu costretto a lasciare la madre. Nel 1795 Giulia Beccaria cominciò a convivere con Carlo Imbonati, con cui presto si trasferì a Parigi. Il piccolo Manzoni venne inviato a studiare in collegi religiosi dal 1791 al 1801. La sua formazione intellettuale, spontaneamente illuministica e razionalistica, lo porterà a intrattenere una serie di rapporti con Vincenzo Cuoco, che nel 1801 aveva pubblicato un saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, il cui fallimento attribuiva all’astrattezza del movimento illuminista. Uscito dal collegio, Manzoni manifestò un atteggiamento di disgusto nei confronti dell’insegnamento tradizionale e religioso, e si avvicinò a posizioni giacobine. Nel 1801 compose il poemetto il Trionfo della libertà, imbevuto di sentimenti democratici e anticlericali. Dal 1801 al 1804 visse con il padre nella Milano napoleonica, dove si cimentò con una produzione letteraria ispirata ai principi del neoclassicismo e da ideali democratici, ma presto manifestò la sua insoddisfazione per l’evoluzione politica del regime napoleonico. A Milano conobbe e frequentò Vincenzo Monti, che ospite una volta di Giulia Beccaria a Parigi, ha modo di parlare a Carlo Imbonati di Manzoni, il quale decise di invitarlo nella capitale francese. Ottenuto il permesso del padre, Alessandro Manzoni si preparò a partire, ma nella primavera del 1805 lo raggiunse la notizia della morte di Carlo Imbonati. Giunto a Parigi, ebbe il primo incontro con la madre, con la quale scoppiò un vero e proprio amore. Rimase a Parigi fino al 1810 e, durante il suo soggiorno, in omaggio alla madre e alla figura di Carlo Imbonati pubblicò il carme In morte di Carlo Imbonati in endecasillabi sciolti. Nel carme il poeta immagina un’apparizione in sogno di Imbonati che gli impartisce precetti di virtù utili per la sua attività letteraria. A Parigi entrò in contatto con il gruppo degli “idéologues”, intellettuali che ripensavano criticamente i presupposti e gli esiti della Rivoluzione. Concentravano la loro attenzione sul contrasto tra natura e società, nella consapevolezza dell’influenza della tradizione e della storia. Respingevano il predominio assoluto della ragione e vivevano criticamente il fallimento degli ideali illuministici. Importante per Manzoni  fu Claude Fauriel, suo punto di riferimento costante.  Alessandro Manzoni, a contatto con quell’ambiente, manifestò la sua insoddisfazione per l’Illuminismo e i suoi esiti, e alimentò il suo desiderio di aderire a valori che fossero assoluti e collettivi, ponendo così le premesse per quel clima spirituale e intellettuale, che lo porterà alla conversione sia di tipo religioso, sia intellettuale del 1810. Nel 1808 Manzoni si sposò a Milano con Enrichetta Blondel con rito calvinista (Enrichetta proveniva da una famiglia di fede calvinista). Enrichetta entrò in contatto con un prete giansenista di Genova, l’abate Degola, avvicinandosi così alla fede cattolica. Nel 1810 venne celebrato nuovamente il matrimonio con Alessandro Manzoni secondo il rito cattolico. Nello stesso anno Enrichetta e Alessandro assistettero al matrimonio tra Napoleone e Maria Luigia d’Austria. Nel trambusto della festa Manzoni perse di vista la moglie, e venne colto da una crisi d’angoscia, crisi che da allora lo accompagneranno sempre sotto forma di agorafobia. A quanto si racconta si sarebbe rifugiato nella chiesa di San Rocco e per la prima volta avrebbe pregato Dio. Episodio molto famoso che riduce a un momento eccezionale una storia di pensieri ed emozioni ben più complessi di cui Manzoni non parlò mai.

(La cappella della villa di Lecco)

 La villa fu residenza della famiglia Manzoni per due secoli fino a quando venne venduta nel 1818 dallo scrittore alla famiglia Scola, che la mantenne inalterata fino agli anni ’60, quando fu ceduta al Comune di Lecco. In questa villa, Alessandro Manzoni trascorse quasi tutta l’infanzia e l’adolescenza. 

 

 

 

Il Museo Manzoniano espone in 10 sale, ciascuna legata ad un tema differente,le  prime edizioni del romanzo, manoscritti, cimeli relativi alla vita ed alle opere di Alessandro Manzoni. Gli ambienti del piano terra sono rimasti con gli arredamenti originali dello scrittore al momento della vendita. Fanno parte del percorso anche la Cappella e le cantine.

Villa Manzoni è un edificio in stile neoclassico situato a Lecco nel quartiere Caleotto.
Trasformato in museo letterario fu la residenza della famiglia di Alessandro Manzoni
 che vi trascorse, come lui stesso scrive nell’introduzione al “Fermo e Lucia”, tutta l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza

 

Nel millenovecentoquaranta fu dichiarata Monumento Nazionale da Re Vittorio Emanuele.

Il primo della famiglia che abitò nella casa del Caleotto fu il quadrisavolo dello scrittore,  Giacomo Maria Manzoni  “abitante ab Caliotto, territorio di Lecco”, come si legge in un documento del 15 agosto 1612. Dopo di lui tutti gli antenati dello scrittore vissero in questa casa e quasi tutti vi nacquero, come pure suo padre, Pietro Manzoni nato il due luglio 1736.

Targa posta dalla famiglia Scola sul muro esterno dell’edificio

Fu ristrutturata negli ultimi anni di vita del nonno, che si chiamava anch’esso Alessandro (1686 – 1773) e gli interventi continuarono con Pietro Antonio  (1736 – 1807), il padre del romanziere, che con il fratello, monsignor Paolo Manzoni (1729 – 1800) diede alla villa l’aspetto attuale.

Le mappe dell’epoca riportano la costruzione identica in pianta all’attuale, i fondi agricoli “vitati” e “moronati” cioè coltivati a viti e gelsi, e il giardino all’italiana, che si trovava sul fianco destro della villa.

Nella villa i Manzoni si trasferirono circa nel 1620 dalla Valsassina; la villa dovette poi subire radicali modifiche. Alessandro Manzoni, che fu il primo deputato in alcuni “Convocati Generali” del Comune di Lecco tra il 1816 e il 1817, dovette vendere tutta la proprietà del Caleotto alla famiglia Scola nel 1818, la quale, nel 1875, fece apporre all’esterno della villa una targa commemorativa per il centenario della nascita del poeta. Su questa targa erano scritte le seguenti parole:

Alessandro Manzoni in questa villa sua fino al 1818 si ispirava agli “Inni”, ”Adelchi”, ai “Promessi sposi” ove i luoghi, i costumi, i fatti nostri e se stesso immortalava”.

 

luoghi manzoniani sono siti, edifici, quartieri, serviti da ispirazione e citati da Manzon nel romanzo I Promessi Sposi. Per alcuni le citazioni sono precise, per altri la corrispondenza è determinata dalla tradizione, come nella presunta casa di Lucia, a volte con più di una assegnazione per lo stesso luogo. Presenti principalmente a Lecco, a Milano e in Brianza. Inoltre si riferiscono ed esprimono lo spirito e la psicologia dei personaggi attraverso la loro descrizione: un esempio è il castello con l’Innominato, oppure il palazzotto con don Rodrigo.

“È l’inespugnabile fortezza in cui vive e opera l’Innominato, situata in un punto imprecisato lungo il confine tra il Milanese e il Bergamasco e distante non più di sette miglia dal palazzotto di don Rodrigo: il luogo è descritto all’inizio del capitolo ventesimo, quando il signorotto vi si reca per chiedere l’aiuto del potente bandito nel rapimento di Lucia e fin dall’inizio si presenta come un castello truce e sinistro, specchio fedele della personalità del signore che vi risiede. Infatti sorge in cima a un’erta collina al centro di una valle “angusta e uggiosa” che è a cavallo del confine dei due stati, accessibile solo attraverso un sentiero tortuoso che si inerpica verso l’alto e che è dominato dagli occupanti del castello, che sono dunque al riparo dall’assalto di qualunque nemico; il castello è come un nido di aquile in cui l’innominato non ha nessuno al di sopra di sé e da dove può dominare anche fisicamente su tutto il territorio circostante, di cui egli è considerato l’assoluto padrone (i pochi birri che si sono avventurati lì sono stati uccisi e nessuno oserebbe addentrarvisi senza essere amico del bandito).
All’inizio del sentiero che conduce in alto c’è un’osteria che funge da corpo di guardia, la quale, a dispetto dell’insegna che mostra un sole splendente, è nota come la “Malanotte” e in cui stazionano “bravi” dell’innominato armati fino ai denti: qui si ferma don Rodrigo quando giunge insieme ai suoi sgherri e viene precisato che nessuno può salire al castello armato, per cui il signorotto deve consegnare ai bravi il suo schioppo. In seguito viene accompagnato all’interno della fortezza e percorre una serie di oscuri corridoi, con bravi di guardia ad ogni stanza e varie armi appese alle pareti (moschetti, sciabole, armi da taglio…), mentre la sala in cui avviene l’incontro con l’innominato non presenta dettagli rilevanti, cosa che può dirsi anche per altri “interni” che appariranno nei successivi episodi.
Dopo il rapimento  Lucia è condotta da Monza al castello in carrozza (il viaggio dura più di quattro ore) e una volta che il veicolo è giunto ai piedi del sentiero che sale alla fortezza, di fronte alla Malanotte, esso non può proseguire a causa dell’erta ripida e la giovane è trasferita su di una portantina insieme alla vecchia serva dell’innominato. Questa conduce poi Lucia nella sua stanza, cui si accede tramite una “scaletta” e dove poco dopo giunge anche l’innominato; la stanza è spoglia e non presenta alcuna descrizione particolare, così come la camera in cui dorme il bandito e che viene mostrata dopo, della quale si dice solo che ha una finestra che si affaccia sul lato destro del castello, verso lo sbocco della valle (da lì l’uomo vede la gente che accorre dal cardinal Borromeo, giunto in visita pastorale al vicino paesetto che non dev’essere troppo lontano da quello dei due promessi, dal momento che fra i curati presenti c’è anche don Abbondio).
Questi percorre in seguito la salita al castello in groppa a una mula, insieme all’innominato e a una lettiga che trasporta la moglie del sarto del paese, con il compito di rincuorare Lucia nel momento in cui verrà liberata: una volta giunti alla fortezza i due sono fatti entrare e apprendiamo che vi sono due cortili, uno più esterno e un altro interno. Sulla strada del ritorno il curato osserva con una certa apprensione lo strapiombo del dirupo che è costretto a rasentare e maledice la mula in quanto procede sul ciglio del burrone, tirando infine il fiato solo quando è fuori da quella valle dalla fama sinistra).
Lo stesso don Abbondio, Agnese e Perpetua  torneranno lì molti mesi dopo, per cercare rifugio nel castello a causa della calata in Lombardia dei lanzichenecchi, durante la guerra di Mantova: l’innominato ha già raccolto al castello molti uomini e ha disposto armati e posti di guardia in vari punti della valle, cosicché il luogo è perfettamente difeso. I tre giungono alla Malanotte a bordo di un baroccio procurato dal sarto e qui trovano un folto gruppo di armati, quindi procedono a piedi lungo la salita e Agnese rabbrividisce al pensiero che la figlia ha percorso quella stessa strada prigioniera dei bravi. Vengono accolti benevolmente dall’innominato che offre loro ospitalità e le donne vengono sistemate in un quartiere a parte, che occupa tre lati del cortile più interno del castello (nella parte posteriore dell’edificio, a strapiombo su un precipizio); il corpo centrale che unisce il cortile interno a quello esterno è occupato da masserizie e provviste, mentre nel quartiere destinato agli uomini ci sono alcune camere riservate agli ecclesiastici e don Abbondio è il primo a occuparne una. Lui e le due donne si trattengono al castello “ventitré o ventiquattro giorni”, quindi, nel momento in cui il pericolo dei lanzichenecchi è cessato, l’innominato li accompagna di persona alla Malanotte dove fa trovare una carrozza, e questa li porta poi al loro paese. È questa l’ultima apparizione dell’innominato nel romanzo e lo stesso può dirsi anche del suo castello.
Il luogo è stato giustamente interpretato come un riflesso “simbolico” dell’indole del suo signore, che vive nella sua solitudine asserragliato su un’alta montagna e rende il proprio maniero inaccessibile a chiunque non voglia fare avvicinare: tale è la condizione dell’innominato sino al ravvedimento, poi è lui stesso a scendere dall’altura per incontrare il cardinale e giungere alla conversione, per cui il castello è in certo qual modo immagine dell’isolamento del peccato che l’uomo spezza andando a parlare con il Borromeo.

Data l’identificazione tra il personaggio manzoniano e la figura storica di Francesco Bernardino Visconti, si pensa che il suo castello fosse quello i cui resti sorgono ancora nella cittadina di Vercurago, sulla strada che un tempo collegava Bergamo a Lecco (rimangono in piedi un torrione e parte della cinta muraria).

Lecco è panoramicamente la più bella città sul Lago di Como, qui l’Adda esce dal Lario formando il Lago di Garlate; tutt’attorno una grande cerchia di monti rocciosi dalle forme bizzarre: il Resegone, il Due Mani, il San Martino e sull’altra sponda del lago il Moregallo. Notevole è l’importanza turistica, sportiva e alpinistica di Lecco (famosi sono I ragni di Lecco), potenziata da ottimi impianti di risalita.

Abitato in età preistorica, villaggio fortificato, poi municipio romano, importante borgo nel MedioEvo, libero Comune nel XII secolo, quindi nemico di Como nella guerra dei dieci anni, Lecco passò poi sotto il giogo dei Della Torre e dei Visconti. Proverbiale è la laboriosità dei lecchesi, nel MedioEvo nella lavorazione dei bozzoli e nella filatura della seta, dal 1992 Lecco è diventata una provincia della regione Lombardia. Il centro storico, quasi privo di monumentalità architettonica, è caratterizzato da una dignitosa edilizia ottocentesca, in gran parte modellata dagli interventi in chiave neoclassica di Giuseppe Bovara, allievo minore di Luigi Cagnola.

Il figlio più illustre di Lecco è sicuramente Antonio Stoppani  ( Lecco 15 agosto 1824- Milano 1°gennaio 1891) geologo, paleontologo e patriota italiano.

 

L’opera inaugurata il 25 ottobre 1927 Punta della Maddalena, avvenne curiosamente lo stesso giorno del  Monumento a Mario Cermenati, una scultura marmorea collocata poco distante. Cermenati, naturalista e geologo, fu il fondatore del Musei Civici di Lecco.

 

Consiglio una gita in Valsassina e al Piano dei Resinelli, tra le dolomitiche creste delle Grigne…

I Piani Resinelli, situati sulle Prealpi Lombarde, sono adagiati su una grande sella ai piedi del Gruppo delle Grigne e si estendono sui Comuni di Abbadia Lariana, Mandello del Lario, Ballabio e Lecco; dalla loro posizione privilegiata si può godere di un’incomparabile vista che spazia dalle Alpi Retiche fino al Monte Rosa, dominando la pianura sottostante, il lago di Lecco ed i bacini dell’Alta Brianza. Il Massiccio delle Grigne, situato sulla sponda orientale del Lago di Como, tra Lecco e Bellano, è raggiungibile attraverso diversi percorsi con partenza dai Piani Resinelli; di grande attrattiva paesaggistica, geografica e geologica, nonché rinomata palestra di roccia, esso può considerarsi uno dei rilievi più importanti a pochi chilometri (circa sessanta) dalla città di Milano. I Piani Resinelli toccano la quota media di 1300 metri sul livello del mare, e si raggiungono in pochi minuti di automobile (circa trenta) dalla cittadina di Lecco, seguendo le indicazioni per la Valsassina, e passando per il paese di Ballabio.

Raggiunto il Belvedere uno scenario meraviglioso mi è apparso agli occhi. Tutti i colori autunnali…profumi di un territorio che visito per la prima volta. Notevole la sensazione di benessere.

Con la stima di sempre.   

Angelo RISI

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Sulle orme di Ortega…Bosco di San Giovanni a Piro – Conferito il Premio Ortega 2017 al Prof. Claudio Strinati

Il “Premio Ortega” giunto alla dodicesima edizione è curato dal Comune di San Giovanni a Piro (SA) nell’ambito della rassegna “Equinozio d’Autunno” – (l’equinozio non è una ricorrenza nata dal pensiero umano bensì un particolare momento del nostro sistema solare che consente la stessa durata di giorno e notte sulla terra. Questo eccezionale evento naturale, che si verifica sempre, avviene due volte l’anno ed ha sempre affascinato ed incuriosito tutta l’umanità).

In occasione dell’equinozio autunnale nel territorio comunale di San Giovanni a Piro vengono organizzate una serie di manifestazioni ed eventi culturali con l’intento di far incontrare tradizioni e culture diverse oltre ad evidenziare il patrimonio storico-ambientale del luogo.

Equinozio…Un equilibrio tra giorno e notte. Un curare con armonia e sensibilità il lato intimo di ognuno…l’animo umano, che con gioia e dolore vive sospeso… tra la vita e la morte…tra la guerra e la pace…tra la prigionia e la libertà. Un “equinozio” …uno stato quasi sereno della vita…che Ortega ha trovato solo in questi luoghi.

Questi pensieri mi hanno condotto  in Piazza Ortega dove si è tenuta la cerimonia di conferimento del Premio dedicato al grande e indimenticato artista spagnolo Josè Garcia Ortega al prof. Claudio Strinati.

Claudio Strinati è nato a Roma nel 1948, si è laureato nel 1970 con Cesare Brandi e nel 1974 ha iniziato a lavorare presso il Ministero per i Beni e le Attività culturali. Per undici anni, fino al luglio del 2009, è stato Soprintendente per il Polo museale romano. Tra le tante esposizioni da lui ideate e realizzate con un grandissimo successo di pubblico si ricordano quella dedicata a Sebastiano del Piombo a Palazzo Venezia (Roma) nel 2008 e portata in seguito a Berlino, Il Quattrocento romano sempre nel 2008 a Roma e Caravaggio organizzata alle Scuderie del Quirinale della capitale nel 2010. Da Soprintendente è riuscito a riorganizzare musei storici come la Galleria Borghese, Palazzo Venezia, il Vittoriano e a riaprire al pubblico Palazzo Barberini, dopo decenni di oblio. Altro suo merito è di aver proceduto al restauro e alla catalogazione delle opere d’arte di Roma e del Lazio, mettendole a disposizione degli studiosi attraverso un sistema informatico che è in costante sviluppo. Lunghissima la lista delle pubblicazioni, tra libri di storia dell’arte e contributi di carattere scientifico comparsi in riviste specializzate, italiane e straniere. Tra i libri più recenti, un ciclo di volumi dal titolo Il mestiere dell’artista, editi da Sellerio, che ripercorrono la storia dell’ arte italiana dal Trecento a oggi. Nel 2010, con l’editore Skira, è stata pubblicata l’opera da lui ideata su I Caravaggeschi, risultato di lunghi anni di lavoro in collaborazione con Alessandro Zuccari. Sempre nel 2010 sono stati pubblicati due imponenti volumi, il primo su Raffaello, edito da Scripta maneant, il secondo su Bronzino edito da Viviani. Gli interessi di Claudio Strinati oltre alle arti figurative comprendono anche la musica, di cui è grande esperto, tanto da curare una rubrica settimanale sul Venerdì di Repubblica.

 

Un viaggio nella casa di Ortega…

 

Prima di arrivare al palco ho intervistato il Prof. Strinati per darvi l’idea della personalità e del carisma….

Con i Saluti Istituzionali il Sindaco Ferdinando Palazzo ha aperto la cerimonia. A seguire sono intervenuti: il Direttore del Museo Ortega, la dottoressa Anna Maria Vitale, il curatore del Premio, l’avv. Franco Maldonato e il curatore di Equinozio d’Autunno, il Vicesindaco Pasquale Sorrentino.

 

 

Fra il nutrito pubblico intervenuto, il vescovo della Diocesi di Teggiano-Policastro S.E. Mons. Antonio De Luca e personalità del mondo della Cultura e della Politica.

Il prof. Strinati riceve il “Premio Ortega 2017” per la seguente motivazione…

 

 

Dopo la consegna del riconoscimento al Prof. Strinati, l’illustre critico ha intrattenuto la folta ed attenta platea con una interessantissima Lectio Magistralis sul tema “La pittura civile di Ortega nel realismo sociale del ‘900”.

Descrivere ciò che si avvertiva nell’aria e riassumere la “lezione” sminuirebbe l’incanto e la magnificenza del momento vissuto. Un pensiero che piu’ di tutti mi ha colpito e che conserverò con cura è quando trattando dell’estetica del novecento ha parlato della Triade che appartiene a taluni uomini e che in essa confidano con grande sensibilità per tutta l’esistenza: Arte, religione e filosofia.

Prima di concludere vorrei ricordare in breve la figura di Ortega non descrivendo chi fu…(in rete ognuno può ricercare e approfondire) ma con un suo pensiero, a proposito del motivo per cui scelse Bosco e il Cilento come luogo per vivere..: “Qui sono venuto a costruire un pezzetto di libertà. Lavorare in queste terre, significa osservare e imparare costantemente, per portare poi con noi qualcosa di veramente puro e genuino che valga la pena di aver assimilato. Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un’ arte a contenuto rivoluzionario è una necessità. Quindi non più l’ arte per l’ arte. Noi poeti, musicisti, pittori, noi creatori d’ arte… contro coloro che predicano il disimpegno e l’ evasione… sentiamo che il popolo ha bisogno di forme artistiche che chiamino all’ unione per restituire libertà e democrazia al paese”.

La serata è continuata all’insegna della musica. Scriveva Victor Hugo:”La musica esprime ciò che non può essere detto in parole e che non può rimanere silente.

Con la stima di sempre auguro buon equinozio d’autunno a tutti!

Angelo RISI

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Standing ovation al cine-teatro “La Provvidenza” di Vallo della Lucania per Giusy Armida e la sua scuola – A conclusione di serata il Musical “Pinocchio”

E’ il secondo anno consecutivo che partecipo al saggio finale della scuola di danza di Giusy Armida…l’anno scorso con il musical “Il gobbo di Notre Dame”…

 

questo anno con “Pinocchio”.

Quando è iniziata questa nuova avventura ero già emozionato…la favola di Pinocchio è coinvolgente.

In tutta sincerità per la mia indole avrei voluto impersonare “Pinocchio”…ma capirete che per l’età e per il cast formato da ragazzi…mi è toccato “Geppetto”. Come d’abitudine ho cercato di capire il “personaggio”. Rileggendo la favola… mi è apparsa la figura di Geppetto: povero vecchio, totalmente dedito al “figlio” scapestrato, secondo la visione tradizionale.

Mi sono convinto che all’inizio, quando si mette all’opera per costruire Pinocchio, i suoi intenti sono tutt’altro che nobili: vuole costruirsi un burattino che gli faccia compagnia. Che è poi la motivazione più o meno inconscia di molti genitori quando procreano.

Nella storia…un continuo parallelo bambino-burattino…come se Collodi volesse farci riflettere sulle nostre aspettative genitoriali: da un lato vorremmo poter controllare i bambini come fossero burattini, dall’altro li vorremmo intraprendenti ed “autonomi” al più presto. Poi, di fatto, questo burattino-bambino è dotato per sua fortuna di notevole iniziativa.

“C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No ragazzi, avete sbagliato: c’era una volta un pezzo di legno.”

(Carlo Collodi, incipit de “Le avventure di Pinocchio”)

 

Vi è una lettura in questa favola, tradotta in 240 lingue, saggi, film, rappresentazioni teatrali…una lettura che è quella di un burattino di legno nelle mani del mondo…in un sistema oppressivo ancorato alle consuetudini e alla conservazione. Pinocchio in carne ed ossa è l’umano che ha trovato le proprie peculiarità. Ha lasciato alle spalle il passato statuario decidendo di affrontare il futuro a viso aperto. Non ha bisogno di tutori…ha voglia di mettere alla prova le sue energie vitali, le sue capacità intellettuali e le sue virtù sentimentali. Collodi ha creato il primo autentico uomo moderno. E’ sicuramente per questa “lettura” della favola e per il fatto che non ho mai “ammazzato” il “fanciullo” che è in me…

Pascoli afferma, riprendendo un mito platonico (cfr. Platone, Fedone, 77d-78b): “È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi …ma lagrime ancora e tripudi suoi”. È dunque una voce nascosta nel profondo di ciascun uomo, che si pone in contatto con il mondo attraverso l’immaginazione e la sensibilità. In tal modo, scopre aspetti nuovi e misteriosi, che “sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione”.

Si …è per questo che mi sarebbe piaciuto interpretare “Pinocchio”. Ciò non è stato possibile per i motivi espressi…ma Giusy Armida si è ritrovata ad “educare” persino me.

Lei …insegnante con il “cuore”…difatti mi ricorda molto la “maestrina dalla penna rossa” di Edmondo De amicis (Con il libro Cuore la letteratura italiana si arricchisce del romanzo di formazione più famoso e funzionale conosciuto, insieme al Pinocchio di Collodi). La maestrina dalla Penna Rossa – così chiamata per la penna rossa che orna sempre il suo cappello è diventata una figura emblematica nell’immaginario dei lettori, è cioè l’immagine della maestrina dedita ai suoi studenti. Giusy non ha la penna rossa ma si dedica ai suoi allievi con tutta l’anima…ha una sensibilità fuori dal comune…si commuove per i successi dei suoi ragazzi.

Mi sento legato a lei da un affetto paterno…ed è per questo che non riesco mai a dirle di no…lei è inflessibile nel suo ruolo…riesce a tirare fuori il meglio da ognuno…persino da uno come me…combattuto tra “Pinocchio” e “Geppetto”.

I risultati si sono visti con il saggio di fine anno della sua scuola. Abbiamo visto danzare i suoi allievi come farfalle sulle magiche note di un sogno… avvertendo la passione per un arte che esprime la bellezza della musica.

La danza, arte performativa che si esprime nel movimento del corpo…coreograficamente e con tutta la sensibilità dell’anima.

Nel musical…ho avvertito il calore…

Chi fa teatro ha bisogno di sentire il calore..il vostro mi è arrivato diritto al cuore. Noi tutti…adulti, ragazzi e bambini ci abbiamo messo l’anima. ..ci siamo divertiti e sono convinto che vi siete divertiti.

 

Un ruolo fondamentale in questo “viaggio culturale” è dell’intera famiglia di Giusy e dei suoi collaboratori che non si risparmiano…donano tutte le loro energie per regalare la magia di una serata.

Un ringraziamento al pubblico del Teatro “La Provvidenza” di Vallo della Lucania che anche questo anno con una standing ovation ha mostrato la sua approvazione alla qualità particolarmente elevata dello spettacolo e mostrando grande referenza e apprezzamento verso la professionalità e le doti umane di Giusy Armida.

 

A voi tutti giunga il mio abbraccio…con la stima di sempre!

Angelo RISI

(foto di Fabrizio Di Siervi, Angelo Duminuco, Giusy Dumi e Attilia Jen Maiese)

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Fondazione “Pietro De Luca” – Terza edizione “Foto e Corti dal Cilento”

 

Ho seguito, presso il Cine-Teatro “Tempio del Popolo”di Policastro Bussentino, l’evento conclusivo del Premio Pietro De Luca 2017 “Foto e Corti dal Cilento”, con la proiezione delle Opere premiate, preceduta da un pubblico dibattito su “Immagini e Territorio”.
Nato con l’intenzione di dar luogo ad una rassegna di Fotografie e Cortometraggi strettamente legata al territorio e alle sue peculiarità, il Premio Pietro De Luca – III Edizione 2017, ha visto la partecipazione di tutti coloro che hanno voluto raccontare le bellezze storiche, artistiche e culturali, i riti, i volti e le tradizioni del Cilento.
L’obiettivo è quello di promuovere il Cilento tramite questi osservatori dell’immaginario collettivo e del nostro territorio quale fonti di stimolo e di sviluppo soprattutto utili per le nuove generazioni.

Ha presentato l’attrice e giornalista Cinzia Ugatti, hanno preso parte alla serata il fotografo Antonio Barrella, il regista Frèdèric Lachkar, il giornalista Gaetano Bellotta e il Presidente dell’Archivio Audiovisivo Vincenzo Maria Vita.

Intermezzi musicali a cura del maestro Vincenzo Bilo al violino e del duo Astone/Natalino Baldassarri.

E’ stato presente con un messaggio audio il regista Mario Martone …a seguire la proiezione di un suo cortometraggio dal titolo “Pastorale Cilentana”.

La manifestazione è terminata con la proiezione dei tre cortometraggi giunti in finale e la premiazione dei vincitori.

Per la sezione “Foto” è risultata vincitrice Rachele Furiati.

La foto vincitrice…”é il frutto dell’emozione e della devozione che ogni anno pervade le strade di Vibonati, durante la processione di Sant’Antonio Abate”.

Il vincitore della sezione “Corto”: Domenico Flora con il cortometraggio dal titolo “Ricordami di dove sono”.

La Fondazione Pietro De Luca, nata nel 2013, per volontà dei genitori Vincenzo e Mariagiacoma Gagliardo in omaggio alla sensibilità e alle aspirazioni del figlio Pietro De Luca, scomparso prematuramente, innamorato del Cilento, rappresenta un luogo di promozione della conoscenza del territorio, delle tradizioni, della cultura, della musica cilentana.

Personalmente non conoscevo Pietro…incuriosito dalla sua figura…ho ascoltato delle testimonianze di chi lo conosceva bene…dell’amore che provava per il luogo…per la terra cilentana. Mi è bastato ascoltare…per conoscerlo. Non mi dilungo…evidenzio appena la raffinatezza della manifestazione “Foto e Corti dal Cilento”…curata con Amore dai genitori e dai fratelli di Pietro… E’ la continuazione di quell’amore verso il territorio…è un inno alla vita. Delicato e nobile il messaggio sociale della Fondazione…poche parole…che empaticamente…ogni essere dotato di grande sensibilità sa cogliere…nella loro grandezza. Grazie Pietro a nome del territorio.

Vi abbraccio tutti con la stima di sempre.

Angelo Risi

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