L’uomo dei “Panari”

di Gianni Ferramosca

Una volta dato inizio ai primi intrecci, non avrebbe più potuto distrarlo nessuno dal suo lavoro.

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A ben guardarlo, sembrava rapito dalla solitudine della sua stessa memoria, mentre il suo superbo talento, come prigioniero di un mantra, dimenticava adesso persino la stessa percezione del tempo.

Tutto questo, mentre le sue nodose mani da contadino toccavano quei leggeri fili di vimini come se fossero cipolle, o addirittura patate. Tuttavia, questo non gli impediva affatto di continuare la costruzione della sua ragnatela d’incroci, con sapienza antica, quasi divina. 

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Sono lontani gli anni in cui fu sottoposto alla dura disciplina imposta dai maestri, da suo Padre in particolare, per il quale, qualsiasi cosa facesse era “peccato”. Ovviamente, il peccato più grave era quello di dedicarsi ad un attimo d’ozio o di gioco.

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Eppure, è a questi irriverenti ricordi d’infanzia, che un tempo gli negarono i giochi nei campi con i suoi coetanei, a cui deve il suo saper costruire oggetti comuni, ai quali, restituire la magia che una volta ebbero.  

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Nonostante la magia profusa da Zio Domenico funzioni benissimo, tanto che mi pare di udire le voci e di percepire i profumi di un tempo, traspare la nostalgia per questo mondo avviato al suo declino. 

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In un epoca popolata solo da oggetti di plastica, in cui non siamo più in grado di costruirci qualcosa dal nulla, questo sarà l’ultimo “panaro” realizzato davanti ai miei occhi.

Grazie, Zio Domenico.

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